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Sindone: giornata di studio dopo la riapertura della Cappella del Guarini

28 settembre 2018

giuseppe ghiberti

All’inizio c’è la Sindone. Senza il Telo neppure sarebbe stata concepita la costruzione della Cupola di Guarino Guarini, nata per contenerlo. Anzi proprio la Sindone ne ha ispirato la foggia rivolta verso il cielo, lo straordinario intreccio di marmi e luce che doveva rendere tangibile il messaggio di salvezza oltre la morte. Nelle giornate in cui Torino celebra la riapertura del capolavoro barocco guariniano, a 21 anni dall’incendio che lo aveva devastato, una riflessione sul contesto religioso e di corte che hanno portato all’erezione della Cappella diventava necessaria. Di qui il Convegno di studi sulla Cappella della Sindone tra Storia e Restauro. Organizzato dal Ministero per i Beni e le attività culturali e dai Musei Reali di Torino alla Biblioteca Nazionale Universitaria venerdì 28 e sabato 29 settembre, l’incontro è stato aperto dalla tavola rotonda sul tema de La Santa Sindone: Storia e Devozione, moderata dal presidente della Commissione diocesana per la Sindone, don Roberto Gottardo, con il professor Gian Maria Zaccone, direttore del Centro Internazionale di Sindonologia, il direttore del Dipartimento di Conservazione del Louvre di Parigi, Jannic Durand, e con Andrea Merlotti, dirigente del Centro Studi Storici del Consorzio delle Residenze Reali Sabaude.





La devozione in Francia

“La devozione della Sindone ha radici lontane – ha osservato don Gottardo, nel presentare la mattinata – che costituiscono le fondamenta stesse della Cupola progettata dal Guarini”. Le prime tracce in Europa di questa devozione si individuano in Francia, terra di approdo in Europa del Telo. Probabile bottino di guerra di qualche crociato in occasione del sacco di Costantinopoli, passato poi a qualche abbiente famiglia di Atene, il Lino doveva essere stato successivamente ceduto al nobile cavaliere Goffredo di Charny, che a Lirey aveva addirittura fatto erigere una chiesa per dare all’oggetto degna collocazione. Sarebbe poi stata la sua ultima discendente, Margherita, stretta tra difficoltà finanziarie ed esigenze di protezione, a consegnarlo nelle mani dei Savoia, che ne avrebbero fatto il vessillo della loro dinastia.

“La presenza della Sindone in Francia è soprattutto documentata da innumerevoli opere d’arte – ha spiegato Durand – Nella stessa Lirey dove avrebbe a lungo dimorato, ma anche a Besancon, Dijon, Narbonne, Reims e Parigi”. La Provenza, la Borgogna e la Champagne sono ricche di testimonianze: “Sculture, bassorilievi, dipinti che descrivono la passione e anche manoscritti e libri miniati, esempi di una devozione più privata, più legata alla sfera intima e penitenziale”. La Passione di Cristo viene rappresentata con dolcezza e compassione, talora con un gusto teatrale, in un crescendo di personaggi a cornice del Cristo deposto. “Le tombe diventano quasi degli altari. Cristo ne esce pronto per la Resurrezione”. Una prova che prima ancora della Chiesa era il popolo ad accogliere entusiasta il messaggio di speranza del Telo.



Un’immagine tollerata dalla Chiesa

“Che la Chiesa abbia avuto difficoltà iniziali ad accettare alla Sindone è storia ben documentata – ha commentato Zaccone nel tratteggiare uno spaccato storico su pietà, devozione e culto sindonico tra Medioevo e Barocco – E questo a prescindere dalla questione dell’autenticità, del tutto irrilevante per il Popolo di Dio, sia di origine rustica, sia di nobile lignaggio”. Nel tardo medioevo la Chiesa risultava divisa da profonde fratture interne: “Lo scisma di Occidente confondeva la base del clero e i fedeli – puntualizza Zaccone – Roma e Avignone davano dimora a papati diversi. La gente, già sofferente per la Guerra dei 100 anni che infuriava in Francia, non poteva che aggrapparsi al cielo e ai suoi segni per avere qualche riferimento”. Del resto la Sindone stessa era tra le varie reliquie in arrivo dalla Terra Santa un oggetto sui generis. “Si allontanava dalla ritrattistica dell’epoca, con i suoi due corpi rovesciati, molto più vicini a una sensibilità di oggi che non a una mentalità medievale”. Per non dispiacere al popolo entusiasta l’unica strada da imboccare per le istituzioni ecclesiastiche era quindi quella della tolleranza.



La liturgia della Sindone

Erano stati i Savoia, quando il Telo era giunto nelle loro mani, a perorare una liturgia legata alla Sindone, che fu infine concessa nel 1506. “Decisivo per l’avallo di papa Giulio II fu l’argomento del sangue contenuto sul Telo, anzi la tesi di un’immagine dipinta col sangue”. Oltre che immagine la Sindone fu anche riconosciuta come reliquia. La scelta della data per le celebrazioni cadde sul 4 di maggio. “Il sangue sul Telo richiama all’umanità del Cristo e anche alla vita. A partire da qui si moltiplicarono le manifestazioni di devozione”.

La Sindone come “Bibbia dei poveri” per la sua immediatezza e anche come strumento di riflessione teologica e di catechesi. “Fu San Carlo Borromeo, grande devoto della Sindone, a capirne la straordinaria efficacia pastorale – continua Zaccone – Fu infatti lui a dire che le ferite della Sindone si imprimono nel cuore dei fedeli. La Sindone si trasformò in vessillo e baluardo anche contro gli attacchi dei protestanti”.

La Cappella della Sindone non è che una conferma dei valori della Sindone nel mondo e nella storia. “Il suo intreccio di marmi ci dice che solo dalla sofferenza e dalla morte necessaria si giunge alla luce della resurrezione”.



Sindone e Cappella per celebrare il sovrano

Un luogo che celebra il trionfo celeste e anche i fasti del sovrano. “La Cappella – ricorda Merlotti – è frutto di una scelta politica precisa di casa Savoia, mai venuta meno con l’avvicendarsi dei reggenti. Il suo scopo è ricordare che la Sindone legittima la dinastia e che la Chiesa non può prevaricare il casato nell’uso del Telo”.

La chiave della cassetta della Sindone – insieme con l’anello ritenuto di San Maurizio, patrono dei Savoia – era il pegno che il re morente trasmetteva in custodia al suo successore. E peraltro lo stendardo dei Savoia usato in battaglia per accendere il vigore delle truppe, recava anche ben evidente la rappresentazione del Telo. “Le stesse ostensioni diventavano centrali momenti di esibizione di questo potere tutto temporale – prosegue Merlotti – Non a caso, a parte le prime, itineranti, dal 1578 in poi si appoggiavano tutte alla quinta di Palazzo Madama, ultimo confine della corte sulla città”.

Battesimi, nozze, avvenimenti legati alla Casa e a personaggi di rango: se la gestione delle ostensioni, pubbliche e private, era saldamente in pugno alla Dinastia Sabauda, l’amministrazione della Cappella della Sindone non era certo lasciata al clero ordinario, ma affidata a gentiluomini di lustro, che per il compito erano anche molto ben remunerati. “Oltre a custodire il Telo, la Cappella conteneva reliquie di santi, la spada di San Maurizio e altri oggetti preziosi”.

Dopo un periodo di maggior laicizzazione della Monarchia nell’’800 il culto della Sindone torna di prepotenza con la reggenza di Umberto II, il re che nuovamente legherà le insegne e le sorti della Casa a quella del Telo. “La Sindone è un infallibile termometro della storia Sabauda”, considera Merlotti. Un’icona che ancora oggi incide sulla vita della città.

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